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Gustavo Marchesi
LE OPERE DEL MAESTRO

Scorrendo l?eccezionale e fortunata carriera di Verdi, quattro periodi all?incirca dividono la sua produzione lungo almeno tre quarti dell?Ottocento, un secolo ricco di straordinarie novit?musicali in tutta Europa, dove perci?non era facile mettersi in vista e raggiungere grosse affermazioni. Col passare degli anni il numero delle sue opere diminuisce, anche se non gradualmente; il controllo delle idee si fa pi? vigile, la coscienza maggiore. Naturalmente diminuisce anche l?impeto, la carica che troviamo nelle opere giovanili e della prima maturit? Ma si tratta d?una perdita ricambiata da una compostezza cos?originale, da un approfondimento cos?pieno, scrupoloso, da un artigianato cos?onesto e fine, cos?acuto, da non lasciare rimpianti. Questo in fondo ?il fascino della sua arte: un?eleganza, un ottimo gusto, persino (e qui sta la prova pi? ardua) quando affronta la cosiddetta ?volgarit?.

 


I
l periodo iniziale va dal 1839 al 1850 circa. Nel novembre ‘39 il compositore ventiseienne si presenta alla Scala con Oberto, conte di San Bonifacio, una storia datata 1228, dove Oberto, prode ma sfortunato guerriero, sfida a duello il seduttore della figlia Leonora e rimane ucciso. Abbiamo già qui la prova di un operista che fa sul serio: direttive chiare, brevità e sintesi, prevalenza di melodie che spiccano su ritmi balzanti, in orchestra una scrittura semplice ma funzionale, buoni inserti corali di carattere epico, popolare. L’effetto sul pubblico è positivo ancora oggi.

 


Non così l’argomento dell’anno dopo, Un giorno di regno (ll finto Stanislao), definito “melodramma giocoso”. La musica imita i maestri del primo Ottocento, è fredda e soprattutto non diverte. Essendo però costruito con sicuro mestiere, Un giorno di regno viene ripreso anche ai nostri giorni.

 


Il successo di Nabucco nel ‘42 porta il musicista sulle ali della celebrità. Il soggetto, tratto dal Vecchio Testamento, narra del re Nabucodonosor II che vince e deporta a Babilonia il popolo ebreo, ma dovrà piegarsi al loro Dio. La melodia calda, vitale e spiccia, la forza spontanea, nobile e maschia, incoronarono Giuseppe da Busseto quale astro nascente del melodramma italiano. Di tutte le belle pagine, la più famosa rimase, oltre alla Sinfonia d’apertura, il coro degli esuli ebrei “Va, pensiero”, un’onda ardente e nostalgica che interpreta le aspirazioni patriottiche degli italiani.

 


Subito nel 1843 I Lombardi alla prima crociata. Una vicenda del 1099, che alle crociate mescola tragiche passioni individuali, complicate da altre avventure d?amore e di guerra fra cristiani e musulmani. La musica dimostra la crescente destrezza di Verdi, la sua abilit? Molte le pagine riuscite: fra tutte il terzetto con violino obbligato nel finale dell?atto terzo, un brano sapiente, di emozionata dolcezza.

 


L'anno dopo, nel ?44, Ernani (da un dramma di Victor Hugo), storia infuocata ed eroica di un bandito generoso e della sua amata, una gentildonna contesa da altri nobili pretendenti, ostili a Ernani, che alla fine soccombe. La musica e le varie situazioni teatrali hanno andamenti molto concentrati, come Verdi non aveva ancora dimostrato fino allora. Le forti tinte, le melodie che parlano, i motivi ripetuti per sottolineare meglio le vicende, l?orchestra che colora e richiama gli stati d?animo dei personaggi, i cori molto pronti e scattanti, sono tutti elementi di novit?che diventeranno proverbiali nel prossimo linguaggio di Verdi.

 


Sempre nel 1844 I due Foscari, dall?originale di George Byron. Nel 1457 Jacopo Foscari, figlio del doge di Venezia, Francesco, ?condannato all?esilio, seppure innocente, e muore mentre si imbarca. Il vecchio padre stroncato dal dolore si spegne poco dopo. Un clima musicale e drammatico di grande penetrazione psicologica, una tinta che definisce l?ambiente, le condizioni e la sofferenza dei protagonisti.

 


Il 1847 ?l?anno di Macbeth, ancora oggi salutato come capolavoro, il primo incontro di Verdi col teatro di William Shakespeare. Ambientato in Scozia a met?dell?XI secolo, il luttuoso racconto dei due coniugi scozzesi, prima regicidi, poi colpevoli di altri numerosi delitti, ?testimonianza matura di fusione fra dramma e musica, un approfondimento psicologico che supera le convenzioni teatrali dell?opera lirica a quel tempo. Ricordiamo che l?opera verr?ritoccata nel 1865 con l?aggiunta di pagine come il coro ?Patria oppressa?, un potente e toccante rimpianto collettivo.

 


Un altro Preludio carico di melodia, un canto nostalgico alla vita negata, da aspre delusioni, apre, ancora nel 1847, I masnadieri (da Schiller), un soggetto con un finale disperato e anarchico. Un?orchestra polposa accompagna in piena forma; il canto ?sollecito, le situazioni folgoranti; bella la parte del padre, afflitta, umiliata

 


Da una tragedia di Friedrich Schiller, Giovanna d?Arco, rappresentata nel 1845. L?opera non ha troppa fortuna oggi, tranne la Sinfonia, che da sola sembra sufficiente a descrivere le vicende di una giovane campagnola, travolta da un impegno pi? grosso di lei, ma che tuttavia assolve in purezza di cuore. In realt?anche il resto del dramma ha un sapore genuino, leggendario e folcloristico.

 


Nello stesso anno Alzira (da Voltaire), ambientata nell?antico Per? dei ?conquistadores? e delle trib? locali ribelli al giogo di Spagna. Si tratta di un?opera che poteva essere pi? imponente e invece non la divent? Manca delle giuste proporzioni, ma nel suo piccolo, ha momenti vibranti ed ?ben costruita.

 


Nel ?46 Attila, il sovrano degli unni che aveva invaso il Veneto e saccheggiato Aquileia (452 d.C.). Episodi anche di forte carattere descrittivo, come l?arrivo dei profughi nella laguna, o il dialogo fra Attila e il generale romano Ezio, o l?incontro col papa Leone, che blocca l?unno alle soglie della citt?eterna. Il condottiero barbaro ha un rilievo superbo, mentre nel pur breve Preludio orchestrale, desolato, piange un intero popolo oppresso.

 


E sempre nel ?47 abbiamo una nuova versione dei Lombardi per il Teatro dell?Op?a di Parigi, J?usalem, poi tradotta in italiano, col titolo Gerusalemme. La sostanza del dramma originale, dei Lombardi, non cambia, ma gli anni non sono passati invano e Verdi conosce ora nuovi artifici: aggiunge parti e ritocchi assimilati dal teatro francese.

 


Nel ?48 Il corsaro (da Byron). Una sorte davvero corsara molto in carattere col fatal Quarantotto; un?eccellente prestazione vocale del personaggio di Medora; massima simpatia quella di Seid, un pasci?molto fermo e piacevole di carattere; una scena indimenticabile di Corrado il corsaro in carcere; il resto portato avanti alla brava, da fumetto avventuroso.

 


E nel 1849 l?avventura continua ne La battaglia di Legnano, che celebra le vicende della Lega lombarda del 1176 contro il Barbarossa, con il chiaro intento di svolgere una propaganda risorgimentale, non trascurando quegli aspetti privati e molto vissuti che attenuano il gusto illustrativo, inevitabile in questo genere. Buona, cio?gradevole, la Sinfonia.

 


E
ancora nel ?49, Luisa Miller. Dramma di sentimenti, derivato da Schiller, in cui la cornice storica conta meno che nelle opere precedenti; dramma di due amanti, Rodolfo e Luisa, violentemente oppressi e destinati a perire di veleno. I passi musicali alternano ai tagli violenti le delicate penombre, alle gonfiature e ai clamori, numerosi momenti delicati, di eterea limpidezza lirica. Giustamente celebre l?aria di Rodolfo ?Quando le sere?, la rivelazione di un?estasi d?amore in cui parola e melodia sono perfettamente saldate e fragranti: una eccellente parte per il tenore, che presto avr?altre conferme.

 


D
el resto la passione che si scontra con le convenzioni ?ormai un punto fermo nella drammaturgia verdiana e alimenta la sua musica energica, virile e commossa. Gi?nel 1850 con Stiffelio, ambientato all?inizio del secolo XIX, siamo di fronte al caso di un?adultera. La collera del marito e l?accoramento del padre di lei, che uccider?il seduttore, e infine lei, carica del suo peccato, annunciano l?umanit?delle figure che Verdi comincia a preferire. Il grado di tensione ?spesso altissimo e al suo confronto il rifacimento dell?opera nel ?57, col titolo Aroldo, fa l?effetto di un restauro, dove troppa ?la cura dell?insieme per essere credibile. Ma anche qui la Sinfonia, uguale nei due titoli, ?vincente.

 


I
l secondo periodo, dal ?50-51 al ?53, ?identificabile in Rigoletto, Il trovatore, La traviata, la trilogia che ha raggiunto consensi di pubblico e di critica insuperati. Tre quadri composti da effusioni liriche e opposti furibondi scatenamenti di ritmo, con successioni sceniche esatte, infallibili, senza cedimenti, con pagine di canto originate dalla migliore fantasia. Nel Rigoletto del 1851 (da Hugo) la sventura di un povero padre e la sfrontata fortuna del suo padrone trovano un abito musicale perfetto: lo slancio delle continue invenzioni, ora frizzanti, ora prorompenti ora di infinita sofferenza trovano una miracolosa unit?di forme. L?ultimo atto fa terrore, con una furia anche descrittiva incontenibile, ma non si spinge mai oltre la bellezza pura.

 


Il trovatore
, del 1853, vede la superstizione e la vendetta in contrasto con purissimi affetti; alla faida feroce, implacabile, addirittura mostruosa, la musica dona un rigore misterioso e frenetico che fu subito apprezzato nel mondo intero. I personaggi sembrano usciti dalle vampe di un incubo che lo spettatore fissa stupito come in un dormiveglia. La musica rischiara il tutto di una luce terribile e calcolatissima.

 


Sempre del 1853 La traviata, da Alexandre Dumas figlio, l?opera pi? rappresentata oggi al mondo, narra di una prostituta di lusso, un documento unico di commovente verit? Il ritratto musicale della protagonista, a tutto tondo, difficilissimo, mette a dura prova le capacit?di un soprano. E intorno a lei, la cornice orchestrale. Sempre puntuale nell?ambientazione, suggerisce ci?che i personaggi non dicono, anzi diventa personaggio essa stessa. Impressionanti in particolare i due preludi.

 


I
l terzo periodo copre gli anni di qui al 1870, con opere di ampio respiro, complesse o di vaste proporzioni, suggerite dal grand-op?a francese a cominciare da Les v?res siciliennes del 1855, oggi conosciuti nella versione italiana: I vespri siciliani. Il filone storico-patriottico accoglie anche qui un intreccio familiare. Le forme sontuose, di ampio respiro, dai brillanti colori e dalla vena melodica ricca, sono riassunte nella celebre Sinfonia, irruente e cantabile.

 


L'
anno dopo sempre con sfondo storico (secolo XIV), lo sfortunato governo di un magnanimo doge genovese, Simon Boccanegra, opera riproposta in una nuova versione nel 1881, dove si trova la tempestosa seduta del gran Consiglio, uno squarcio di storia politica grandiosa e appassionante, dominata dalla luminosa e sincera perorazione del doge. La cura dell?autore ?rivolta a una fusione fra personaggi e ambiente pi? stretta che nelle sue opere precedenti.

 


Un ballo in maschera del ?59 segna un eccellente ritorno al dramma psicologico-passionale. A Boston, alla fine del XVII secolo, il governatore Riccardo viene ucciso dall?amico Renato che intende vendicare il suo onore. Magia e fatalit?pesano terribilmente sulla vicenda, ricca di fantasia e attrazione, nella quale Verdi accosta forme vecchie e nuove, ammalia il pubblico col suo intatto potere melodico, ma ricco di tinte e contrasti di particolare intensit?

 


La forza del destino
del 1862, ripresa con cambiamenti nel 1869, ci porta a Siviglia, verso la met?del secolo XVIII. Verdi riusc?a inventare un?opera che potremmo definire viaggiante, interrotta da molte tappe, con molteplici divagazioni provocate dal destino, fin dalla magnifica e vasta Sinfonia d?apertura, un vortice di frammenti rimescolati dove, accanto al motivo lamentoso, tenero e feroce della fatalit?incombente, si aggiunge la melodia che sar?di Leonora, la vittima pi? sventurata. Un affresco che sembra una telenovela, una abbondanza fluviale di canti rivestiti dall?orchestra con pienezza sempre varia.

 


I
ntanto l?11 marzo 1867 il monumentale Don Carlos (dalla tragedia di Schiller) era andato in scena all?Op?a di Parigi. Tradotto in italiano, col titolo Don Carlo, venne presentato, dopo varie modifiche, in due versioni, o in cinque atti o accorciato in quattro. Verdi vi radun?una mole di esperienze e di innovazioni nel canto, nella declamazione e nel comportamento scenico. Intrighi e cupe solitudini della corte spagnola di Filippo II a met?del Cinquecento; personaggi che, sebbene storici, appartengono a un mondo visionario e sembrano scesi da una tela di Velasquez, umidi ancora di colori inquietanti, accompagnati a una tavolozza orchestrale dalle infinite gradazioni.

 


C
hiude questo arco di grandi lavori la trionfale Aida del 1871. In una luce ora nitida ora vaporosa, fra distanze esatte, c??quanto di meglio Verdi aveva individuato in fatto di melodia e armonia, animate da un senso ritmico ancora energico. La favola egizia, in un ambiente esotico, vede la redenzione oltre la vita dell?incrollabile e contestato amore di Aida e Radam?. Per la grandiosit?di alcune parti, soprattutto la celebrazione di Radam? trionfatore, nel finale atto secondo, Aida ?diventata uno spettacolo per grossi teatri all?aperto. Ma non mancano scene pi? raccolte e cariche di intime passioni. Verdi rivela dovunque un equilibrio straordinario e una convinzione che meritano l?appellativo di perfetti. Egli stesso pensava che non avrebbe pi? scritto niente di meglio. Anzi Aida sarebbe stata la sua ultima opera.

 


M
a dopo un lungo silenzio, ecco i due capolavori teatrali del quarto periodo: Otello del 1887 e Falstaff del 1893, due ritorni al sommo Shakespeare. Otello ?una tragedia della gelosia provocata da un demone del male: il moro Otello uccide la moglie amatissima, la bianca Desdemona, accusata ingiustamente di adulterio dal perfido Jago. Il discorso musicale, denso e coerente, ?ricercato nei minimi dettagli, con un gusto che ormai dimostra come Verdi sia giunto ad assimilare ogni linguaggio pi? avanzato, pi? moderno (per quei tempi). Modella la sua naturale, scultorea capacit?melodica con una continua ricerca di espressioni. Ogni passaggio diventa esemplare e la tensione drammatica coinvolge tutti e tutto senza mai affievolirsi.

 


Falstaff
?invece una commedia, la sola che il Maestro abbia risolto con pieno successo (dopo quel lontano e incerto Giorno di regno). E la storia di un galante quanto stagionato viveur che nonostante la sua ?pazzia senile? dimostra alla fine di essere un uomo vivo e divertente, molto pi? dei suoi concittadini moralisti e impacciati. Ancora una volta la musica rivela delle novit?inaspettate. Per qualcuno non sembrava neanche pi? musica di Verdi; per altri l?ottantenne musicista era preoccupato soltanto di esibire una raffinata sapienza, dimostrando fin dove arrivava la propria cultura musicale. Ma noi, prima di tutto, non dobbiamo dimenticare quanto sia divertente Falstaff, quanto riuscita la figura del protagonista e quanto felice la caricatura finissima della societ?intorno a lui.

 


O
ltre al genere operistico, Verdi tratt?di sfuggita quello strumentale da camera (un solo quartetto) e in maniera non troppo abbondante la lirica per canto e piano. Nella musica religiosa lasci?esempi storici, tra i quali domina la Messa da Requiem, eseguita nel 1874 per commemorare Alessandro Manzoni: un capolavoro che incontra ancora ai nostri giorni un successo crescente. In una sintesi che raccoglie tutta l?eredit?dell?Ottocento, e sembra racchiudere tanto le solennit?delle imponenti cattedrali, quanto le umili messe di paese, troviamo ampi squarci corali di varia fattura accanto a melodie che assomigliano chiaramente a quelle delle opere liriche. L?orchestra, trasparente ma energica, completa i vari quadri con effetti addirittura scenici. Al centro, l?intuizione statuaria del ?Dies irae?, suddiviso tra confessioni individuali e collettive, tra il fragore della tempesta e lo sconforto di un dolore comune. Una composizione che da sola basta a darci la misura di un genio.